-Lascia stare, amore mio, finisco io. Ti vedo affaticato. Stai bene?
-Grazie. Mi siedo un po’. Solo per un minuto. Nulla, la solita schiena. Giorgio?
-E’ in cameretta. Gioca.
Il sibilo della pentola a pressione. Lo sbuffo di vapore che volteggia verso l’alto prima di dissolversi sotto la cappa. Un raggio di sole rimbalza sul tavolo e carambola negli occhi rivelando doriche sfumature e schiudendo un sorriso. Ha smesso di piovere.
-L’anno prossimo, la prima media. Dovremmo decidere a che scuola mandarlo.
-Ho sentito parlare molto bene del Pier Paolo Pasolini. Ci sono professori validi e organizzano diversi corsi interessanti. Lo frequenta il figlio di una mia collega. Ne è davvero entusiasta.
Superata la prima decade di marzo, le temperature si tingono di piacevoli pastelli pur punteggiando ancora di gelidi brividi le zone d’ombra arroccate nelle strette distanze dei palazzi. E’ nella timidezza di quest’ultimo sole d’inverno che prende fiato la loquacità della primavera.
-Hai visto, sono fioriti i garofani verdi. Dovremmo sistemare la veranda. Le giornate cominciano a farsi piacevoli.
-Che ne dici se nel pomeriggio passiamo dal vivaio di Luciana? Vorrei prendere qualcosa di nuovo e adornare il balcone della camera da letto.
La guerra che si combatte a Gaza finisce per macchiare di sangue le nostre piazze. Mosca conosce il dolore del Crocus City Hall. Il tono roco e concitato del cronista che racconta il dolore soccombe sotto la voce sottile che arriva dal corridoio.
-Papà…papà…è vero che domani posso andare a giocare a casa di Claudio? E’ sabato e non ci sono compiti.
-Ah, allora ci sei? Nemmeno mi sei venuto a salutare.
-Ma io non avevo sentito che eri tornato.
-Si, certo. Dimmi la verità: eri preso dai tuoi giochi!
-Allora papà, posso andarci?
-Ma stavi aspettando me per fare questa richiesta?
-Me lo ha già chiesto prima che arrivassi.
-E quindi?
-Gli ho risposto che ne avremmo parlato quando saresti rientrato.
I genitiori si guardano con un sorriso d’intesa. Hanno già deciso, ma vogliono tenere ancora un po’ in sospeso il piccolo Giorgio. Si guardano, poi tornano alle loro facccende. Chi fischiettando, per simulare disinteresse, si volta verso la cucina, apre il cassetto delle posate e comincia ad apparecchiare. E chi apre il frigorifero, prende acqua e vino e intanto dice, come se stesse parlando a se stesso, “vorrebbe andare a casa del suo amichetto lasciando la famiglia proprio di sabato quando abbiamo la possibilità di stare tutti insieme e magari organizzare una bella passeggiata al mare”.
Giorgio osserva ogni movimento con attenzione. Mentre le bottiglie vengono sitemate sul tavolo quel sorrisino che aveva inscenato avanzando la sua richieta, va scolorendosi. Gli pare di capire che non c’è alcuna intenzione di accontentarlo. Ora anche le posate sono al loro posto con bicchieri e tovaglioli. La coppia converge all’estremità del tavolo. Si avvicinano. Fianco a fianco. Un braccio cinge la schiena del partner che ricambia quella dimostrazione d’affetto posandogli un bacio sulla guancia fresca e rasa. “Passato il dolore alla schiena?” Lui annuisce sorridendo. Giorgio è sull’altro fronte. Aspetta una risposta.
-E va bene, abbiamo pensato che ci puoi andare. E’ sempre…
Non c’è modo di terminare la frase. Un grazie irrompe nella stanza con una “e” finale così lunga che attraversa tutto il caseggiato. Giorgio si rianima. Saltella, batte le mani, corre attorno al tavolo, spalanca le braccia. Loro si inchinano per ricevere l’abbraccio. Con un balzo il bambino si ritrova tra i genitori. Ricolmo di gioia li ringrazia: “Siete i papà migliori del mondo”…