Nelle mie vene i numeri sono sbagliati. Irrequieti. Mi toccano ovunque. Contaminano l’integrità di quei valori sequenziati da un Dio che teorizzò la vita come una precisa calibrazione di insiemi matematici.
Un referto sentenzia la fine imminente. L’incipiente declino. Ma io non sono pronta al martirio. Non sono avvezza alla resa. Sotto assedio paziento e poi sferro la mia temeraria offensiva. Così, rannicchiata all’ombra possente e longeva di una quercia secolare, con delicata gestualità, ho forgiato la mia infrangibile armatura. Una lega di tolleranza e fiducia, di tenacia e follia. Il mio corpo depredato, i miei muscoli sfilacciati, i miei giorni logori, le mie notti lugubri. Ora che il metallo incandescente, altero si ricompone nello stampo della mia anima, non temo più la vita. Il mio corpo è ancora debole, i miei muscoli ancora fragili, i miei giorni grigi, le notti buie. Ma dentro questa armatura il dolore si sopporta, la voglia di esserci ancora dilaga. Il male è evanescenza.