KAJAL – PROLOGO

Sono stata all’inferno. Un hotel senza indirizzo. Una stanza senza numero. L’inferno non ha un luogo sul quale eregersi. Non ha un tempo nel quale spendersi. Si struscia alla vita. Ogni giorno. Spesso lo ignori. A volte lo avverti. E quando lo avverti ci sei già dentro. E’ asintomatico in principio, prima di aizzarti contro le peggiori schiere dei suoi eserciti. Mi avevano prenotato una singola per poche settimane. Ci avrei soggiornato il tempo di pochi cicli di chemio. Poi sarebbe finito tutto. Un sollievo. Ero solo di passaggio. Nell’attesa di trasferirmi altrove. Per sempre. Non si porti troppa roba. Solo l’essenziale. Quando tutto sarà terminato ne faremo un fagotto e lo affideremo a suo marito. Lo custodirà per sempre così Emidio. Lo conosco. Lo lascerà intatto. Lo serberà nel mio lato dell’armadio. Tra i miei vestiti. Non oserà mai disfarsene. I miei pensieri mentre preparavo il mio bagaglio. Potrebbe essere tutto un incubo, penserà Emidio. Ne sarà convinto. E se al risveglio Rita dovesse tornare? Non avrebbe alcunché da indossare. Non posso farle questo. Non se ne darà ragione, ne sono certa. Mi rammaricavo per lui. Non esageri. Poche cose. Insisteva la dottoressa. Portai con me una vestaglia, l’intimo, asciugamani, l’incauta speranza di vincere, una preghiera disperata, un libro già letto. Non volevo rischiare di andarmene senza avere la possibilità di sapere come sarebbe andata a finire. Non lo avrei sopportato. Mi avevano diagnosticato poche settimane di quell’inferno. Un libro nuovo non lo avrei mai finito di leggere. Una stanza buia. Nessuna finestra. Nessun contatto superfluo. E davanti alla porta una ronda di demoni sghignazzanti. Presto mi avrebbero liberata. Era scritto nella cartella clinica. I medici mi rassicuravano. Erano già in corso trattative diplomatiche. E parallele, frenetiche, operazioni dei servizi segreti per pianificare l’intervento risolutorio delle forze speciali. Sarebbero venute a prelevarmi. Un blitz di angeli. In una notte senza luna. Mi avrebbero strappato agli inferi, al dolore. Sarebbero venuti per estrarmi da un corpo sofferente e vestirmi di luce. Avrebbero immobilizzato i miei carcerieri. Mi avrebbero sciolto i nodi ai polsi. Liberato le caviglie. E se non avessi avuto la forza di sostenermi da sola, mi avrebbero sollevato dal suolo, traslato verso l’alto. Nella gloria di Dio. Sono stata all’inferno. Ci sono stata più del previsto. Potrei esserci ancora. O potrei tornarci. Ma che importa ora? Mi basta questo per essere felice: essere qui. Ancora. Godermi il mio eden tra le braccia di Emidio. L’inferno può aspettare. La vita ha fretta di essere vissuta.

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