Salvo scuote lo shaker. Segue la musica. Un vecchio successo dei Planet Funk. Balla. Ride. La maglia bianca. La pelle annerita dal sole del Tirreno. Shakera. Lo fa avvicinando all’orecchio quella strana maracas. Sorride ai ragazzi seduti agli sgabelli. Strizza l’occhio a Patrizia che gli passa una comanda. Shakera. Lo fa come se stesse cercando di ascoltare qualcosa. Come se aspettasse un suono preciso. Un segnale. La frequenza giusta in una vecchia radiolina che gracchia, gracchia e poi si aggancia alle onde giuste. E quel gracchiare diventa musica. Nitida. Ritmo. Note. Melodia. Ogni elemento si perde nel tutto per generare qualcosa che, pur contenendolo, è qualcosa di nuovo, diverso, nuovo. Eccolo quel suono. Salvo smette di shakerare. Lo ha trovato. Apre. Ribalta. Versa in un bicchiere. Decora con scorze di arancia e cannucce glitterate. Posa i bicchieri sul vassoio. Ad un cenno della mano Marco si avvicina. Prende il vassoio. Legge il numero del tavolo su un foglietto infilato sotto il bicchiere e scompare nelle voci che si affollano attorno al bancone.
Mi godo quest’ultima replica. Lo spettacolo va in scena ogni notte sul palco del Blu Cafe. Dalle 23 in poi.
Il mio aereo decolla alle 10,31. Domattina. Ho già sistemato la mia roba. La valigia è già pronta. Aspettiamo l’alba insieme. L’ultima volta. Domani tutto questo non sarà mai accaduto. Tornerò a casa. Tu resterai. E non sarò più un nome da pronunciare. Tu non sarai mai esistito. Io non sarò mai nata. Fino a quando il mio telefono squillerà. Ad un’ora insolita. Leggerò il tuo nome sul display. Mi dirai di venirti a prendere in stazione. Hai perso il mio indirizzo. Ma non quello dei miei occhi. Ed ogni istante tornerà reale. Ogni promessa autentica. Ogni bacio sincero. Insieme sarà per sempre.