LEI ALL’IMPROVVISO (PARTE OTTAVA). LA RIUNIONE.

–         Stiamo pensando all’evento estivo. Moda e musica. Fine luglio. Abbiamo già contattato una casa di moda di Fraintera. Potremmo ospitare un live dei Keyber. Pop elettronico. Hanno vinto il premio della critica al festival di Certavio sul Mare.

–       Le fiaccole che vibrano sulle pareti bianche della facciata principale. Gli ulivi sullo sfondo. Il profumo dei ciclamini dappertutto. File di sedie davanti al palco. La passerella che si allunga nell’ampio cortile, davanti al monumentale portone di quercia. Un allestimento che ha funzionato due estati fa. Molto apprezzato dagli ospiti e dalla stampa.

Mi sembra di essere già lì. Il rubino del vino nelle pance trasparenti dei calici. La cena servita sotto il porticato dell’ala est. Il tovagliato bianco. Le posate d’argento. Un cameriere che esce affrettandosi verso i tavoli. Incrocia Maria, aiuto cuoco, diretta alle cucine. Si guardano intensamente. Quando sono vicini lui le dice “in cantina appena inizia la musica”. Lei annuisce. Ora sono di schiena. Uno, due, tre passi e come se fosse lo schema di una coreografia provata mille volte, entrambi si girano. Sorridono. Passione. Intima complicità. Uno, due, tre passi ed entrambi si rigirano, guardandosi attorno per assicurarsi che nessuno abbia sentito o visto qualcosa. Come se fosse lo schema di una coreografia provata mille volte. Gli ospiti cominciano ad affluire. Bagliori di fari attraversano la campagna immersa nel buio rifilato d’argento dalla lama sottile di una luna nascente. Un addetto all’organizzazione sta sistemando gli ultimi segnaposti nelle file riservate. Ci sarà il sindaco. Ci sarà il Senatore. Ci sarà il presentatore della rete nazionale che in estate passa le sue vacanze nella villa accanto. Un uomo fuma appoggiato ad un muretto a secco che costeggia il viale. Infila in tasca il pacchetto con le terrificanti immagini delle conseguenze della sigaretta. Aspirare tabacco incenerito lo aiuta a domare la tensione che lo assale, contorcendogli il ventre, ogni volta che deve guidare sul campo la sua squadra di hostess e stuart ad un evento del quale si parlerà sui giornali e sui tg dei giorni a seguire. Ha deciso che è meglio lasciare che la nicotina lo consumi lentamente invece di morire oggi per un’incontrollata accelerata del cuore. Da una finestra di intravedono gli sbalzi luminosi diffusi da un enorme schermo lcd. Luca, 11 anni, sta uccidendo i suoi mostri armato di joystick e occhiali 3d. Dall’enorme finestra che domina l’edificio, al secondo piano, l’anziana moglie di del  fondatore della Vian ha scostato le tende e nella luce ocra di un lume guarda cosa accade nel cortile.

  • Potrebbe andare.
  • Potremmo recuperare le foto scattate durante quella serata. Sono in archivio.
  • Le conosco. Ho sfogliato gli album in sede. Me le ricordo. Valutiamo. Dovremmo pensare ad alcune varianti. Il progetto dell’estate 2016 mi piaceva ma ha bisogno di essere attualizzato. Due anni fa c’era a moda, c’era la musica ma non c’era una band.
  • C’era un dj set.
  • Ma il dj set occupa meno spazio. Infatti la consolle era stata sistemata sullo stesso palco della sfilata. Per una band serve uno spazio decisamente più ampio. Starei pensando ad un doppio palco.

Serena è arrivata puntuale, accompagnata da Luigi, il più piccolo dei fratelli Farelli. Alle 17,30 il citofono. Seguito dallo squillo del mio interno. Valeria che annunciava l’arrivo della Vian. Serena. Pantaloni bianchi. Camicia bianca. Uno spolverino celeste. Gli stivaletti rossi. Un’ampia sciarpa a geometrie rettangolari nelle tonalità del celeste e del bianco. Piccoli particolari di rosso. Celeste, bianco, rosso. E tutti gli altri colori nel suo sorriso.

La riunione dura appena trenta minuti. La settimana prossima andremo alla tenuta per un sopralluogo.

Li facciamo visitare la sede della CtrlG. Li presentiamo il team.

  • Non potevo più sopportare la vita della grande metropoli. Ho passato gli ultimi sette anni lì. Sono tornata a casa per sempre.

Lo dice come se avesse fretta di mettersi alle spalle il passato. Pronuncia queste parole con voce incerta. Quasi bisbigliando. Come se le volesse nasconderle e non pronunciarle, quelle parole. Passano su ferite ancora aperte. La destabilizzano. E infatti non si accorge dello scalino che porta in veranda.

Valeria mi chiama sul cordless. “Il bar è arrivato”. “Fa portare in veranda”. Succo ace per Serena, espressino freddo per l’ultimo figlio del patron della Vian, limonata per Matilde, uno spritz per me. Il ragazzo sistema tutto su un tavolino. Saluta e va via. Ci sediamo, le parlo di me. Matilde racconta come ci siamo conosciuti. Come abbiamo cominciato. Finiamo di bere. Ci alziamo. Andiamo ad affacciarsi sul mare che scintilla di rosso. Il tramonto. Arriva la brezza fresca che soffia, puntuale, a quest’ora, quando il pomeriggio diventa sera. Il profumo del mare. Le alghe. Il salmastro che si diffonde su ogni cosa. Quando riporto lo sguardo sulla veranda, dopo aver raggiunto il faro sul lato opposto del golfo, mi accorgo che lì, con i gomiti sulle ringhiere bordeaux siamo rimasti soli. Io e Serena. Mi giro verso di lei. Ci guardiamo, dritti negli occhi, senza dire nulla. Una frazione di tempo indefinibile. Può essere stata una manciata di secondi. E può essere stata un’eternità “E’ ora di andare”. Dice lei trasalendo da uno strano torpore.  “E’ ora”. Rispondo goffamente, perdendo l’appoggio del gomito in un buffo scatto sul fianco.

ED

GE

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